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UNDERGROUND V.S. COMMERCIALE

Da quando esiste il rap, o per lo meno da quando esiste in Italia, siamo stati sempre spettatori di numerosi dibattiti, di diverso tipo, ma che ruotavano sempre sullo stesso argomento, ovvero: quand'è che un artista può essere considerato un "venduto"?
La domanda che vorrei porre io è: "Il tradimento di un artista verso i propri valori è veramente misurabile in base alla quantità di copie vendute?".
La risposta non è così semplice da trovare, ma procediamo per gradi.
Prima del 2006 (anno in cui Fibra fece il botto e contemporaneamente nasceva YouTube), si poteva descrivere la scena, dividendola in due immensi gruppi:
- Il "commerciale", detto anche mainstream, dove vi si trovavano quei due o tre esponenti, che, sotto le etichette major, riuscivano, per lo meno a pagarsi l'affitto della casa grazie alla loro musica.
- L' "underground", che comprendeva il resto degli MCs sconosciuti, che avevano un qualche seguito solo negli ambienti hip hop, dove bazzicavano i più grossi nerd del genere (tra i quali ci sono pure io), e l'unico modo per arrivare ad essere conosciuti in qualche modo in Italia, era sperare nella fortuna che passasse per caso qualche cazzo di produttore discografico a proporre un contratto.
Dal 2006 fino ad oggi non è più così. Cos'è successo nel frattempo?
Fibra emerge (dopo oltre 15 anni di gavetta nell'oceano dell'underground), record di vendite per lui, automaticamente il rap entra prepotentemente negli stereos degli italiani, le radio iniziano a spingere l'hip hop e quei gran furboni delle etichette major capiscono che il rap è un grosso business sul quale speculare. Da qui in poi, dopo Fibra, abbiamo visto l'uscita sotto major di vari gruppi e solisti, quali Club Dogo, Marracash, Vacca, Inoki, Nesli e molti altri. A tutto questo, aggiungiamoci anche la nascita di YouTube e dei vari social network, che ha permesso di essere ben informati e connessi con tutto ciò che riguarda la scena e che, in più, ha favorito la nascita di numerosi gruppi e collettivi rap in ogni regione d'Italia (e non più come agli inizi dove il rap era fatto solo a Bologna e Milano).
Dal 2006 in poi, inoltre, non è più possibile dividere la scena nei due grandi gruppi sopracitati. Ora l'underground è divisibile in più sottogruppi che, mi rode dirlo, sono valutabili solo in base alle views di YouTube e ai like su Facebook. Si va dall'underground per infognati fino ad arrivare al commerciale mascherato, che comprende gli artisti sotto "TantaRoba" e "TempiDuri", che sono si etichette indipendenti, ma che investono sugli emergenti con i soldi di Universal (quindi il lato underground della cosa va leggermente a farsi fottere).
Detto ciò, possiamo arrivare al succo del discorso, rispondendo alle due domande che ho posto all'inizio del post.
In un era dove la linea che divideva il commerciale dall'underground è sempre più sottile, è difficile dare ad un artista di venduto argomentando bene la propria affermazione: posso semplicemente dire che un artista possa considerarsi un venduto quando, per strategie di marketing, abbassa il proprio livello stilistico per arrivare all'ascoltatore medio e vendere automaticamente di più (cosa che ti fa incazzare perchè sai che potrebbe fare di meglio). Detto ciò, il tradimento di un artista verso i propri valori non è misurabile in base alle copie vendute (altrimenti Eminem sarebbe il re dei traditori), ma bensì ai compromessi ai quali esso è disposto a scendere per il successo.

Fatemi sapere le vostre impressioni, bless!

- Maglio (!)

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